La trama di un tempo perduto

Interpretazione di una trama: ricamando l’istante.
Colle parole degli scrittori, tanto amati da mio padre.

Perugia, 23 Agosto 2001

La Biondina e il berrettino

Vivere in città differenti, la necessità di nascondersi, era ancora lontana lontana e poi aveva voglia di essere sincera, tenera….
J., una donna pensante, ella stessa diceva di sé, prendendosi la testa fra le mani, si domandava:
– Come? Come? – Come sarebbe cominciata una vita nuova? La soluzione si sarebbe trovata?
E che la fine era la parte più complicata e difficile – Cominciava appena, ogni sorta di ragionamenti e il tempo passava, stringeva amicizia e se ne separava.

L’immaginazione, ancora così calda e bella, creava nella propria vita, l’uomo diverso da quello che era.

Una volta ogni due o tre mesi partiva da V.,cominciò a venire da lui, da lui che l’attendeva fin dalla sera prima sempre seduto con lo stesso berrettino. La guardava e sorrideva.
Stanca del viaggio e dall’attesa, ella si voltava da un’altra parte, si nascondeva per celare la verità.
– Come non poteva parlare? – Non posso – Aspetta un momento, ti dirò subito – Ed egli pensò: io starò qui seduto..
– Ebbene come te la passi là? – Che c’è di nuovo? – Lei gli si accostava, per accarezzargli le spalle e la testa grigia, e si vedeva in quel momento nello specchio, una donna senza marito.
Egli provò compassione per quella vita, già vicina ad appassire e sfiorire, al pari della vita di lui.
Sarebbe stato inconcepibile, dirle che tutto ciò doveva pure un giorno aver fine e J. del resto, non ci avrebbe creduto, lo adorava; ed erano come due uccelli di passo, che fossero stati catturati e costretti a vivere in gabbiette separate.

Andava, come sotto il velo della notte, il destino.

J., non appena egli entrò, sostò un poco e stette in ascolto poi, gli strinse la mano e cominciò a guardarlo.
Lo guardava fissamente, lei sua figlia, vestita dell’abito da lui preferito, per imprimersi nella memoria i suoi lineamenti: non credeva a quel che vedeva. Entrambi tacevano.

Ogni esistenza personale si mantiene nel mistero.

Ella rammentò come quella sera, camminando con suo padre a casaccio verso l’uscita, dov’era scritto:
“ Entrata all’anfiteatro” si fosse detta, che non si sarebbe vista più una fine così!
Poi si vide nello specchio: pallida, sbalordita, lontana e… nello specchio, un nuovo personaggio avvolto nella nebbia, col suo commovente sorriso.

Le pareva che da tutti i palchi li guardassero.

Ella ricordò come quella sera, prima della prima, mentre la vita del suo genitore tentennava, lei, perduta in mezzo alla folla provinciale, si nascondeva.
In piedi, spaventato dal turbamento di lei senza risolversi a sederle accanto, stava uno scrittore che le era vicino anche in quel momento che i violini e il flauto, accordatisi, presero a suonare.
Nel primo intervallo, le si era seduto accanto, un uomo molto alto dal sorriso dolciastro e nella piccola calvizie, nella lunga figura , c’era come una modestia di lacchè.
Ella gli gettò uno sguardo e impallidì, poi tornò a guardarlo con terrore, non credendo ai suoi occhi, e strinse forte nelle mani il ventaglio, lottando evidentemente con se stessa fra le note della cattiva orchestra e dei meschini violini.
Lo osservava fissamente: “ vi supplico, capite..”
Ma a quest’uomo, la vita di J. gli era indifferente; pensava ad un’altra, ad una piccola donna che nulla aveva di notevole.

Alle prime luci dell’alba però, il cuore pensava.

Allora ella rimembrò come alla stazione il giorno della sua partenza da V, sarebbe tornata e suo padre, come nell’atto I del Giardino dei ciliegi, si sarebbe chiesto: – Che ore sono? E’ arrivato il treno? Quasi le due mi addormento? Potevi svegliarmi, tu!
– Stava sul letto coperto d’una coltre grigia, che pareva una coltre d’ospedale.
– E’ possibile che lei vada alle prime rappresentazioni ? – Ero venuto apposta per andare a prenderla e mi addormento? Ma quanto ha tardato questo treno? – Almeno due ore! – Egli pensava.

L’ avrebbe sognata? Come l’avrebbe sognata? Come? Con tutti i bagagli!

Mentre J. saliva nella vettura del treno diretto e quando trillò il secondo segnale, dopo un silenzio, come se suo padre si fosse staccato da lei in quel momento o forse come se per lui arrivassero nel suo studio, le voci dei figli che lo preparavano a qualcuno dei suoi ricordi.
Come se egli udisse una romanza: “… perdono pietate… signori pietà…”

Il teatro era pieno.

Aspettavano che arrivasse… Ma giunse una sua lettera nella quale informava che gli era venuto male agli occhi…
Fin dalla mattina, un cartellone a caratteri cubitali:
Il dott. Anton Pavlovic Cechov, melomane dalla nascita, vi saluta e vi lascia.
I ricordi che diventavano fantasticherie e il passato che si mischiava nella sua immaginazione con quello che sarebbe stato: le prime ore del mattino e i baci.
Lasciate che vi guardi ancora un poco… Non piangeva, ma era triste, come malata e gli sussurò con il pensiero… – Io penserò a voi! – Sono venuta per trattenermi! – Una candela, che ardeva solitaria, gli illuminava il volto; i lineamenti gli si erano affilati e ciò era strano e fuor di luogo.

J. si comportava in un certo modo speciale di fronte a ciò che era accaduto?

Poi ancora una volta, quando trillò il secondo campanello e si udì una voce: “ il Signore sia con voi..” ed altrettanto sordamente,” quando noi non ci saremo più..”
E si udì una romanza di un incessante perfezione, forse pegno della nostra eterna salvezza, ed ella vide arrivare un piroscafo, illuminato dall’aurora: E’ ora di andare a casa papà, pensò.
E questo particolare le parve così misterioso e bello che continuò a pensare:…
– In questa continuità della rappresentazione, si cela…. il mare? Lontano dalla città e dai suoi cipressi?
– E quì che ho vagato come stordita, come folle? – Voi per primo non mi stimate più!
-E gli occhi le si riempivano di lacrime.

Tutti uscirono fuori e trovarono una vettura… ma il sordo rombo che parlava della pace, del sonno eterno che ci aspetta..:“ Follie! Follie! ”
Prima che il piroscafo attraccasse al molo, in mezzo alla folla che si andava disperdendo, ella perse l’occhialino.
Arrivò una scialuppa che accompagnò suo padre e si sentì il profumo e l’umidità dei fiori, allora lei lo abbracciò
e lo baciò.
Poi, quando tutto fu silenzio, qualcuno tornò indietro, cercò il suo berrettino e se ne andò dal teatro.

Era probabilmente la prima volta in vita sua che era sola.

Passò circa un mese, con qualcuno che le faceva la corte e del quale ignorava nome e casato e che le parlava con un unico scopo segreto. Il giorno dopo si sarebbe incontrata con lui?
In compagnia degli uomini, J., si annoiava, non sapeva di che discorrere con loro e non sapeva come contenersi, le tornavano in mente, quei racconti, specie se moscoviti.
Ogni nuovo incontro le sfuggiva dalla memoria era come una reiterata esperienza.

Ma ecco, che un giorno, sul lungomare apparve: un nuovo personaggio!

– La signora col cagnolino! – Dicevano.

L’espressione, il passo, il vestito, la tradirono ; un vero e proprio problema oltremodo complicato!
Il pubblico l’aveva incontrata!
Si avvicinava senza fretta, passeggiava sola come una studentessa del secondo corso ma nelle sue lettere, non scriveva ancora lo jer.
Rifletteva sempre, era alta, bionda e senza marito, ora le correva dietro un botolo bianco, ci si era abituato.

G. F.