Nel corso della scansione del tempo: Wenders e lo spazio invisibile dei linguaggi artistici

21 gennaio, 2024

“I sogni devono essere presi molto sul serio”. (Tadao Ando)

Perfect Days, il film di Wim Wenders, premiato al Festival di Cannes 2023 con la Palma d’Oro per l’interpretazione di Kôji Yakusho come migliore attore, è un opera perfetta che racchiude in sé l’esperienza poetica, artistica, della cultura orientale che si confronta nel suo permanere nel tempo, con la memoria di una tradizione occidentale in divenire, dove lo stile è rappresentazione di un tempo evolutivo.

Il linguaggio invisibile dell’architettura giapponese contemporanea

Come evidenzia, lo storico dell’architettura Francesco dal Co, parlando di Arata Isozaki allievo e collaboratore di Kenzo Tange, architetto e grande teorico  giapponese scomparso un anno fa, definendolo un “vero tramite, tra le ragioni più intime del suo Paese e la cultura europea e americana in particolare.”; quello che per noi occidentali ci appare spesso incomprensibile è che la bellezza non si realizza nella trasformazione, ma nel modo di fare e “nel ripetersi uguale a ciò che ha prodotto il bello”. Il tempo della storia, il tempo trascorso nella tradizione del Sol Levante, “non passa di stile in stile, ma si conserva e si riproduce come vera gloria di ogni arte giapponese”.

Nello spazio senza tempo della metropoli, la città moderna contemporanea è scomparsa, la condizione umana è senza speranza, la quotidianità ha perso il ritmo del tempo. (Queste alcune delle riflessioni anche sulle opera teorica di Isozaki  sia in “Japan-ness in Architecture” che in “Katzura, la villa imperiale). Inserisco qui solo alcuni aspetti del complesso pensiero storico-critico, moderno e contemporaneo dell’architetto giapponese, perché ritrovo delle analogie, delle assonanze pertinenti, per comprendere questa pellicola di Wenders.

Perfect days, parla della città e delle  nuove creazioni pubbliche giapponesi, ma anche di solitudini, di sentimenti umani e familiari, di un vero movimento che avviene in un intervallo di spazio, sul quale soffermarci per cercare di percepirne il senso, per poter riuscire a riprodurlo come verità.

Sono passati Quarant’anni, da quando il regista tedesco, omaggia con il suo documentario “Tokio – Ga”, Yasujiro Ozu, il maestro del cinema nipponico scomparso nel 1963, affermando di “guardare senza provare nulla”. Quando era ancora  molto lontano, per noi spettatori occidentali, quel sentimento di malinconia di fronte alla natura, alle stagioni e alle vicende umane chiamato mono no aware che caratterizza, per la cultura giapponese, il cinema di Ozu.

Invece ora, possiamo sentirci vicini a quest’ ultimo film di Wenders scritto con Takuma Takasaki, capace di comunicarci e di tradurci metaforicamente, come ogni vera arte poetica sa fare, la meraviglia di un nuovo e ritrovato linguaggio.

Non più documentario anche se documenta l’attuale progetto di riqualificazione urbana del quartiere giapponese Shibuya, ma neanche un film pubblicitario come noi occidentali possiamo intenderlo, perché riesce a parlarci nel silenzio dei dialoghi, anche dell’invisibile e del vuoto.

Protagonista di questa pellicola, torna la città di Tokio che, dall’esperienza documentaristica, si fa narrazione:  trama di un sentimento poetico dello spazio antropico che si ridesta universalizzandosi. Come analizzerò poi, quasi alla fine di questo articolo, sarà importante comprendere, l’attuale pensiero che l’architettura nipponica esprime, nella figura dell’autodidatta Tadao Ando, protagonista invisibile della storia dell’ultimo film di Wenders, figlio della tradizione e dell’esperienza dei padri che lo hanno preceduto.

Interpretazione della storia e i metalinguaggi sottesi

“Riecheggia  nel titolo del film una canzone di Lou Reed, “Perfect day”, dove le parole invisibili, ci suggeriscono e ci anticipano la trama : “Proprio una giornata perfetta bere sangria nel parco e poi, più tardi, quando fa buio tornare a casa….”  Così penso: Giornata che giorno dopo giorno crea giorni perfetti, che sono sempre quel tipo di giornata, eticamente importanti, dove la pausa nel parco, diventa un intervallo di tempo che arriva a illuminare lo spazio della meraviglia nelle  semplici cose.

Hirayama è l’addetto alla pulizia dei bagni pubblici, piccoli gioielli architettonici, inseriti nei parchi della città contemporanea. Se ne prende cura come e si è detto prima, perché non solo “il conservare e il ripetersi è gloria di ogni arte giapponese”, ma soprattutto è consapevolezza che rinsalda i valori identitari ed etici della creatività nipponica; un  modello fondamentale da tramandare e custodire, affinché ogni progetto inserito nello spazio urbano pubblico, sia organizzato in maniera socialmente utile, esempio per le future generazioni.

La giornata di H. è fatta di tanti tempi che si ripetono in solitudine, nei gesti quotidiani sempre uguali a dare valore e senso al suo saper stare  nobile e dignitoso nella vita. Il suo fare  quotidiano scandisce il tempo in  “Adesso è adesso, un’altra volta è un’altra volta”: dove il tempo trascorso si ripete nel gesto che si fa linguaggio del gesto stesso.

Il suo viaggio mattutino verso i luoghi di lavoro, ricuce, attraverso la colonna sonora di vecchie musicassette, quel tempo critico dell’occidentalizzazione americana nella vita urbana orientale. Il falso movimento anche qui, si ripete sulla strada, guidando nel tragitto che il protagonista compie: dalla sua tradizionale casa verso la metropoli contemporanea.

Scrive l’antropologo Antonio Marazzi, nel primo capitolo dedicato alle “Lingue e culture in pericolo” del suo bellissimo recente e lungimirante libro: “Un mondo artificiale“, di una pacifica invasione sonora e di una globalizzazione musicale dove la musica anche nell’era digitale compone: “nelle mille varietà di neo – english” ancora  “un modello di acculturazione” , “non importa, comunque, se il significato di tante parole si perde nell’ascolto”. “Un rapporto invisibile e potente, con la lingua dominante che corre sulle onde della musica senza che vi sia bisogno di comprendere sempre i significati delle parole”  “Attraverso l’ascolto si entra virtualmente a far parte di una comunità globale che supera l’isolamento”. “Testi e musiche  vengono a formare un tutt’uno significante, che può essere condiviso e crea un legame superando confini culturali.”

E in questo lungometraggio, è proprio la musica, insieme a gli altri linguaggi muti come la letteratura, la fotografia ad esempio, a superare anche i confini generazionali nel passaggio epocale, dall’analogico al digitale. Incontri e scambi che uniscono i mondi e i modi, come quelli del nostro solitario e colto protagonista della storia, con quelli  della ragazza del suo aiutante più giovane Takashi o, con quelli condivisi con la sua giovane nipote Niko.

Così che le culture dialogano e s’intrecciano, comunicano a noi, metaforicamente, attraverso le lingue dell’arte che restano un vero patrimonio intellettuale da salvaguardare.

Quindi anche il fascino della meraviglia e del meravigliarsi che si può percepire  in un istante mutevole, guardando un fenomeno naturale, improvviso è culturalmente insostituibile, ma  lo si può comprendere, avvicinandosi sia alla complessità spirituale e animista orientale che l’ha originato e che oggi riesce a dialogare attraverso alcune architetture giapponesi contemporanee , anche con una nostra visione occidentale inconscia e apparentemente irrazionale.

I protagonisti invisibili e l’interpretazione del vuoto nei linguaggi dell’arte giapponese

Anche per l’architetto Tadao Ando, uno dei maggiori esponenti del Post-modernismo nipponico, creatore anche di una delle “The Tokio Toilet”, https://tokyotoilet.jp/en , la natura è pilastro della sua opera, rappresenta il terzo momento fondamentale del suo pensiero sul fare architettura e sulla ridefinizione del valore simbolico di edificio tradizionale  giapponese.

Qui di seguito, alcune considerazioni sul pensiero di Ando, (spiegate anche attraverso alcune sue affermazioni tratte da alcuni estratti editoriali della rivista italiana di architettura Domus), che ci possono aiutare a comprendere meglio, anche il modello di vita scelto dal  protagonista di Perfect days che, incarnandolo, contribuisce a dare valore nobile alla bellezza ritrovata nell’elegante semplicità di un tempo ricco di senso e di simbolismi identitari, che ci affascina e ci commuove.

La natura, per l’architetto giapponese,  è una natura che  si rigenera con la creazione dell’uomo, ispiratrice “di un tipo di ordine che è stato isolato dal caos ed è stato reso astratto nei termini di luce, acqua e vento.”Ed è proprio nella relazione con il corpo umano che l’architettura si realizza funzionalmente così che “il nostro corpo percepisce tutti gli elementi, come l’aria e le materie. “La bellezza di un edificio si percepisce non solo negli esempi aristocratici come la Villa Katsura, ma anche nelle semplici tipologie dei piccoli spazi. E ancora scriverà, : “nelle case machiya, c’è uno tsubo-niwa (un piccolo cortile), dove entrano luce e ombra e cade la pioggia. Tutte le esperienze che abbiamo in questo spazio sono qualcosa di importante per me. L’architettura dovrebbe fornire un luogo per il senso di gioia dell’umanità. Altrimenti, i nostri corpi non ne sono attratti.”

La semplicità che per noi occidentali  spesso significa altro, soprattutto in architettura, ma anche in altre arti, viene ad acquisire qui, una connotazione essenziale che ci riporta al gusto e al lusso del tempo perduti. Così lo spazio filmico come lo spazio narrativo, si riempiono  di natura, cultura, tradizione, innovazione e, soprattutto, di significati.

Scrive Masao Furuyama: “L’architettura di Ando non è minimalista: è vero che si basa su scatole prive di ornamenti, ma i muri spogli accrescono l’immaginazione e sollecitano l’empatia dell’osservatore proprio perché nudi”

E se torniamo alla storia di Hirayama, quando la sua vita  immersa nella megalopoli s’intreccia con altri significativi incontri, ecco che appare un altro simbolo nella città  : La Tokyo Sky Tree, la torre per le comunicazioni nel quartiere di Sumida, definita: la struttura artificiale più alta del mondo, completata solo dodici anni fa.

Il progetto, che è stato ideato anch’esso da Ando insieme allo scultore Kiichi Sumikawa, rimanda a un’operazione molto significativa che l’ha preceduta nel tempo, una delle tante torri di Arata Isozaki,  l’Art Tower Mito, realizzata tra il 1986-90  per me la più significativa per ricucire i messaggi metaforici, simbolici che creano il fil rouge con le cose dette fin ora e con quelle che ancora si potrebbero dire:

Sia sull’architettura moderna e contemporanea nel suo comprendere culture occidentali e orientali che dialogano e ricostruiscono nuove forme espressive. Come dialoga Wenders con il cinema del maestro Ozu e con il suo primo cinema, inventando io credo, un nuovo linguaggio verista che vibra poeticamente dentro un tempo orientalizzato.

Sia sulle trame invisibili che legano le arti giapponesi tutte, nello spazio e nel tempo e nella relazione spazio-temporale, universalizzandosi nell’arte stessa, nella sua funzione simbolica, etica, spirituale e sociale.

E sul cinema vero che si stacca da terra, come una pellicola che il vento  plasma verso il cielo, con impressa l’ultima inquadratura sul volto di Kôji Yakusho, concludo queste riflessioni, che vorrei anche svuotare di parole, lasciando alle immagini, tutta la potenza simbolica, espressiva e introspettiva che si esprime nel suo finale.

Il finale nel “MA” e il tempo come quarta dimensione spaziale

Infine, dopo avere intuito qualcosa di diverso in Perfect days, nella lettura di questo racconto verista sulla quotidianità come, il permanere dello stato delle cose, memorie culturali antiche e contemporanee, da conservare e curare, che mutano solo attraverso i sensi nello spazio mentale della percezione. Possiamo ora, introdurre, il complesso e significativo concetto tutto giapponese del MA.

Scrive Olimpia Niglio: “Questo ideogramma in Giappone assume differenti significati: distanza, pausa, intervallo, interruzione, relazione tra le parti. Quelli che meglio ne caratterizzano una possibile traduzione sono i concetti di spazio e di tempo. In realtà il suo significato è strettamente connesso al contesto della frase in cui è inserito. Ad esempio, per un musicista il MA indica il tempo ovvero lo spazio temporale inteso come elemento a sé stante che intercorre tra una nota e un’altra; per un architetto rappresenta lo spazio che intercorre tra le cose, per esempio tra un ambiente interno e l’estero (…) “Valutando il concetto come spazio a sua volta il MA può significare la dimensione dello spazio medesimo. Se invece consideriamo il concetto di tempo anche in questo caso il MA può significare il tempo stesso, così come un intervallo che intercorre tra due momenti, una scansione temporale connessa con il ritmo di una musica.”

Così, la maschera attoriale sul volto di Hirayama nel finale di Perfect days, mi svela nuove identità metalinguistiche: la scansione temporale delle emozioni senza parole, ombre e luci che ritornano anche nello spazio immateriale dei sogni, dando senso a quel luogo, che noi occidentali chiamiamo inconscio collettivo, ora riempito di nuove etiche poetiche.

 

Dedico ad Antonio, queste parole scritte, per ringraziarlo di essere sempre presente con la sua sensibilissima amicizia, per il rispetto reciproco che ci unisce, per i suoi preziosi e profondi insegnamenti. 
M.G.F.

 

Bibliografia di riferimento:

Arata Isozaki, David B. Stewart, Sabu Kohso, Toshiko Mori, Japan-ness in Architecture, The MIT Press, 2011

Arata Isozaki, Katsura la villa imperiale, a cura di V. Ponciroli, Electa 2004,

Antonio Marazzi, Un mondo artificiale. Le sfide dell’uomo contemporaneo, Carocci editore, 2022

Francesco Dal Co, Tadao Ando, vol.1 e 2, Electa architettura, 2010

T. Ando, Self-Enclosed modern Architecture Towards Universality, in “The Japan Architect”n.301, maggio 1982.

M. Furuyama, Tadao Ando, Zanichelli, 1997,

Olimpia Niglio, Sulle tracce del MA (間). Riflessioni sulla conservazione dell’architettura in Giappone, Università degli studi eCampus